Tutto ciò accade quando i teatri più grandi e anche i festival nazionali e non che sono le fucine delle nuove produzioni, si sono costruiti la loro roccaforte producendo spettacoli con il personaggio famoso di turno, per attrarre più gente oppure “commercializzandosi” e imponendo costi elevati. Dall’altro lato, invece, la scelta da parte dei piccoli teatri di portare innanzi una programmazione che cerchi di investire anche su temi di grande spessore sociale e culturale rende visibile una situazione assai vulnerabile in cui versa la nostra cultura teatrale. Pare impossibile vedere un’osmosi fra enti e compagnie stabili che dovrebbero continuare a proporre i classici in maniera filologica e ambienti d’innovazione.
La rete Politeatro difatti tenta di riassorbire, ammortizzando i prezzi, gli spettatori con poche risorse economiche e, ancora più ambiziosamente, di cercare nuovi adepti. Quest’ultima speranza molto spesso ci trascina attraverso le vie più retoriche. Difatti è frequente presentare il Teatro come alternativa ai mass media consumistici e demenziali. Per quanto sussista un’oggettiva divaricazione tra i due mondi, perseverare in tal maniera è deleterio per lo stesso Teatro. E’ utopico restituirgli una funzione sacrale e collettiva, ed è altrettanto improbabile attenuare tramite esso il potere della tv. Invece va riproposto come parte integrante della nostra formazione, non in quanto aut-aut. Nel momento in cui lo si propone continuamente come “mondo altro e opposto” rispetto agli strumenti o contesti massificati e massificanti, si rischia di persistere in quella percezione settaria che la gente continua ad avere del Teatro. Progetti che come la Rete Politeatro partenopea possono, approfittando dello spazio familiare di questi piccoli teatri, far sentire lo spettatore parte imprescindibile della pratica teatrale, devono essere promotori di una sorta di “rivoluzione copernicana” o se vogliamo, devono restituire al Teatro la semplicità dell’atto del raccontare storie. (Ri)educare all’essenzialità di “un artigianato della scena” che per secoli ha reso possibile la sua eternità, ponendo al centro la ritualità che nasce fra teatrante e spettatore e il valore della parola costituisce forse, oltremodo, un ancoraggio. Senza retorica.
Ester Formato