Il servitore dei due padroni e l’anticommedia di Latella

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Il servitore dei due padroni e l’anticommedia di Latella

servitore dei due padroniNapoli – “Il servitore dei due padroni” di Carlo Goldoni  e, soprattutto, il suo super-protagonista Arlecchino è stato immortalato dal 1947 in poi dalla regia memorabile di Giorgio Strehler e dall’interpretazione di Ferruccio Soleri e poi di Moretti.

La commedia del tutto conforme alla riforma che attuò Goldoni, inserisce Arlecchino, antica maschera dalle origini ambigue, nella drammaturgia moderna, pur mantenendo le peculiarità del teatro dell’arte e quindi  popolare di cui lo stesso Strehler aveva fatto tesoro.

Oggi, invece, Goldoni balza sui palcoscenici tralasciando un attimo la gaiezza del suo teatro, e in accordo con la critica letteraria o filologia più recente, i registi riscoprono in ogni suo personaggio un lato cinico ed opportunista tutto borghese che l’autore veneziano pare aver mimetizzato mediante i vivaci colori e intrecci delle sue opere.

Se invece si va a vedere il “Servitore dei due padroni” per la regia di Antonio Latella, al teatro Bellini di Napoli dal 18 al 23 febbraio, ci si confronta con una versione dissacrante dell’opera.

L’operazione drammaturgica e registica di Latella procede infatti inversamente alla storica messa in scena dello Strehler; prende la commedia e ne smembra uno ad uno ogni pezzo riducendo sostanzialmente la storia a pura didascalia e ponendo, invece, i relativi personaggi su due binari: la funzione stereotipata del loro ruolo e la loro maschera che in una commedia si fondono in unica identità.

Latella ha però l’ambizione di rappresentare non una commedia ma la commedia stessa rimarcando un lato oscuro celato dai canoni della tradizione dalla quale vuol far ripartire la ricerca di un Teatro d’innovazione che sradichi la cultura nostrana dalla sua immobilità.

Ciò che ricorda l’opera goldoniana è la lettura delle didascalie da parte di Brighella nel telefono di questa hall d’albergo – luogo promiscuo – in cui il regista destruttura tutti i protagonisti. Tutto ciò che vien fuori dall’adattamento di Ken Ponzio apre ad altre situazioni che pur partendo da quella originaria, non fanno che tradirla ripetutamente. Dietro alle pudiche speranze e dolori delle coppie innamorate tipiche della commedia borghese settecentesca campeggia qui una sessualità torbida e distorta in cui incesti e rapporti omoerotici intessono ripetutamente una trama sotterranea che smembra l’intreccio della commedia e quindi il Teatro, sino all’impianto scenico fisico che lo spettatore si vede portare via. E così che attraverso amori saffici e monologhi che esulano dal dramma, i personaggi, specie quelli femminili, cercano di rivendicare una sorta di ribellione alla funzione che la Commedia impone loro.

Interessante è verificare come Arlecchino riesce comunque ad essere il re assoluto di questa anti-commedia. Di bianco, contravvenendo alla famosissima tradizione che lo vuole vestito da coloratissimi rattoppi, l’attore Roberto Latini torna però ai numeri marionettistici e a quella snodata gestualità che doveva esser parte dell’immaginario collettivo dei secoli che anticiparono Goldoni. Ma qui, nulla di filologico, perché è lo stesso Arlecchi-NO a negarsi al dramma e riducendo, con lo svelamento della menzogna-commedia, il tutto ad un circo di “larve”  (dal latino “maschera”.).

 E’ sempre Arlecchino in cui si nasconde l’identità del defunto Federigo Rasponi e attraverso il quale trapela il sentimento incestuoso della sorella Beatrice (Federica Fracassi), a porre fine ad ogni possibile ingranaggio e prosieguo per il tradizionale lieto fine. L’Arlecchino di Roberto Latini è l’anti-arlecchino di quello memorabile del Soleri, eppure ritorna ad essere qui, come il Teatro per i Gesuiti del XVI sec., “instrumentum diaboli” che spinge gli altri ad affondare nella falsità e doppiezza della loro natura. Fanno da cornice un gusto altamente espressivo del linguaggio che spesso si perde in virtuosismi e giochi in continua ripetizione speculare all’immagine di Arlecchino che solo alla fine darà al pubblico la possibilità di ascoltare le testuali parole di Goldoni, con le quali Latella ha motivato la sua complessa operazione che parte dallo scambio dei ruoli Beatrice-Federigo, facendo del travestimento (topos della Commedia), il pretesto per la disgregazione del dramma.

Solo conoscendo il classico si  può comprendere l’ambizione di Latella che si staglia nel contesto tutto partenopeo tra registi e attori che vogliono consegnare al teatro italiano una forma nuova e innovativa della nostra tradizione. E questo, a prescindere che si sia d’accordo o meno, rende sempre necessaria la conoscenza dei classici.

                                                                                                                                    Ester Formato

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