Napoli – Pochi conoscono Tennessee Wiliams. Chi è un po’ più grande ricorderà Marlon Brando nel film “Un tram che si chiama Desiderio”, il dramma più famoso di Williams che lo consacrò al successo internazionale. Raccontare di lui sarebbe troppo lungo e complesso, ma al Teatro Bellini dal 25 febbraio al 2 marzo è in scena “Improvvisamente l’estate scorsa”, opera che assieme allo “Zoo di vetro”, è una delle più autobiografiche. Siamo nel sud degli States a metà anni trenta, il dottor Cukrowicz incontra la signora Violet Menable che l’estate precedente ha perso il suo unico figlio Sebastian a cui era legata sino alla demenza, e che tenta di convincere lo psichiatra a praticare la lobotomia sulla nipote Catherine, unica testimone dell’assassinio del figlio, per farle perdere per sempre la coscienza di ciò che è accaduto. Tuttavia la giovane, ossessionata anch’ella dallo spettro di Sebastian, rinchiusa già in un manicomio, non ha alcuna patologia che oggettivi la sua pazzia. In realtà Catherine è solo la voce di un segreto terribile che tutti gli altri, in primis Violet, hanno cercato di “rimuovere”. Dopo aver visto l’allestimento di Elio de Capitani, è difficile poter comunicare verbalmente l’intensità dell’opera; tutti i protagonisti, difatti, sono immersi nella ricostruzione scrupolosa dell’ambiente della giungla riprodotta dal defunto Sebastian il quale ha viaggiato con la madre nelle isole del sud. Piante carnivore, liane selvagge con forme inquietanti rendono l’atmosfera quasi irreale e a tratti delirante, così i personaggi di Williams il quale ha adoperato l’ambientazione del sud degli States come sorta di “correlativo oggettivo” montaliano per acuire, attraverso un bianco accecante che rende icasticamente il clima di quell’area geografica, le perversioni, la demenza, tutto ciò che freudianamente possiamo sintetizzare con pulsioni di morte, sessualità e rimozione. Il candore del bianco, dunque, colore prediletto da Sebastian, si scontra con suoni e parole altamente evocative. Violet, ancora immersa in un lutto che lascia chiaramente trapelare una voluttà incestuosa, narra dell’inquietante natura, colma di presagi mortiferi, esplorata nei lunghi viaggi col suo Sebastian, mentre progressivamente Catherine ricostruisce i suoi ricordi rapaci, famelici di immagini e descrizioni crudeli. Catherine e Violet non sono altro che, alla fine, strumenti di un cinico Sebastian, vorace a sua volta di sesso, di un estetismo il cui “alone” verrà letteralmente distrutto dall’evocazione della sua morte intrisa di parossistica violenza. L’amore incestuoso di Mrs. Venable e la sua controparte, quello di Catherine per lo stesso cugino, finiranno per impattare cruentemente con la natura di quest’ultimo e la valenza dei suoi viaggi. In realtà la stessa Catherine, interpretato con impegno e coraggio da Elena Russo Arman, non è esente a sua volta da una voluttà violenta che emerge in molte donne raccontate da Williams, come vera patologia e che spesso sfocia in autodistruzione e pazzia (si vedano le due protagoniste di “Un tram che si chiama desiderio”); difatti anch’ella rivendica, servendosi della sua condizione di pazza apparente, desideri erotici verso uomini impossibili subendo il trauma dell’abbandono, ripetutamente, quasi riflettendo, a tratti, le brame di Sebastian verso i suoi “maschi”. Elio De Capitani oltre a servirsi della scenografia per evocare, non accompagna la sua messa in scena con la musica, bensì privandocene del tutto, procede per suoni provenienti da questa giungla ricostruita, per echi di animali invisibili e inquietanti capaci di scandagliare l’inconscio più tormentato e misterioso. Ogni personaggio viene reso ipersensibile acusticamente e ciò contribuisce nel dar mostra a pulsioni tutte interiori, a ricordi vibranti e intrisi di quel prepotente orrore che arriva, pur complesso, al pubblico., come prepotente resta sino alla fine l’ingombrante ventre materno, Mrs. Violet, che sembra scoppiare solo quando l’immagine del figlio, con la sua terribile morte, se ne disancora dissolvendosi irrimediabilmente. La lobotomia e la pazzia sono spettri che travagliarono l’esistenza di Williams e che gli sottrassero la sua amata sorella Rose determinando in lui, già instabile e fragile, un’ulteriore caduta verso dipendenze di ogni sorta. La sua condizione di omosessuale, affrescata in maniera torbida e paranoica in alcuni suoi drammi è spesso riflessa mediante la psicologia dei suoi personaggi femminili, pure statuine di vetro pronte a infrangersi con tutta la loro fragilità che fa il suo teatro struggente e lirico. D’altro canto gli uomini che vi compaiono, come George, fratello di Catherine, possiedono una virilità aggressiva del tutto assente nel drammaturgo che per questo motivo era deriso dal padre sin dalla tenera età. Le sue storie, le sue donne e i suoi maschi selvaggi sono l’essenza di un Sud ancora soffocato da tabù che Williams racconta con un decadentismo sconvolgente tanto da invadere anche lo spettatore o il lettore più distaccato. “Improvvisamente, l’estate scorsa” è una delle opere che appartengono ai due decenni più floridi della sua scrittura anche grazie alla stabilità che il suo compagno Frank Merlo gli seppe dare, poi, dopo la sua scomparsa a causa di un cancro, il buio per sempre…sino al 1983, quando fu rinvenuto senza vita in un albergo dopo aver dato in pasto il suo corpo al sesso e alle droghe. Andare a teatro, stavolta, vuol dire scendere un attimo negli abissi dell’inconscio dei sessi e della parte più fragile della nostra epoca moderna che ci rende tutti statuette di vetro. E conoscere un grande autore del secondo novecento.
Ester Formato
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