Oltre la trattativa, le verità nascoste sulla morte di Paolo Borsellino tra depistaggi e bugie

Italia – Mafia-appalti era l’unico filone investigativo da seguire, ma è stato lasciato morire qualche ora dopo l’esplosione in via d’Amelio. Dopo anni in cui il vuoto ed il nulla sono stati gli unici risultati delle indagini, Ingroia e Di Matteo hanno consegnato al Paese un teorema su un assai presunto accordo tra Stato e Cosa Nostra, puntando su un inattendibile Massimo Ciancimino e rinunciando a qualsivoglia evidenza indiziaria. Un processo che ha avuto il solo e unico risultato di infangare uomini che hanno combattuto la mafia a viso aperto.

È questa la tesi di fondo del libro «Oltre la Trattativa» (Iuppiter Edizioni) dell’autore Vincenzo Zurlo, sottoufficiale dei carabinieri, laureato in giurisprudenza e specializzato in criminologia forense, che spiega: «Sia Ingroia che Di Matteo non hanno approfondito il filone di mafia-appalti nonostante gli spunti offerti anche dai collaboratori di giustizia».

«Ricordiamo per tutti solo il pentito Giovanni Brusca – aggiunge l’autore – che proprio a Nino Di Matteo, raccontò che la pista da seguire per arrivare ai mandanti ed al movente dell’omicidio di Paolo Borsellino era legata proprio all’indagine sugli appalti».

Lo stesso pm Ingroia, nell’intervista rilasciata all’autore, ammette l’importanza del filone. 

«Mafia-appalti è una indagine portata avanti dai carabinieri del Ros dall’allora capitano De Donno con Giovanni Falcone sulle dichiarazione di Giaccone sindaco di Baucina. […] La cosa importante che diceva Borsellino era riferita all’annotazione che c’era nel diario di Falcone, nel senso che Borsellino diceva “Falcone non è solito annotare, se ha annotato ed ha lasciato traccia vuol dire che attribuiva grandissima importanza” e quindi avviò una sorta di indagine personale e parallela anche su mafia-appalti […]. Ma non ci si crederà mai come movente definitivo e privilegiato.»

«Ecco, perché – si chiede Zurlo – non si è data la giusta importanza a quella famosa “annotazione” di Falcone? E perché i magistrati che se ne sono occupati non si sono mai chiesti come mai Borsellino, prima di essere ammazzato in via D’Amelio, decise di incontrare il Ros, che seguiva proprio mafia-appalti, non in Procura ma in una caserma dei carabinieri? Si sentiva, evidentemente – conclude Zurlo – poco protetto dall’allora procuratore capo Giammanco, il cui operato ha dato adito a diverse e non sempre positive valutazioni da parte dei suoi più stretti collaboratori. Perché ancora oggi, di fronte ad evidenze messe in luce anche da Fiammetta Borsellino, figlia dell’eroe di via D’Amelio, non si segue questa pista? Speriamo che Nino Di Matteo ci dia una risposta credibile, altrimenti c’è da pensare che quando “sono entrati nella stanza dei bottoni” in realtà hanno sbagliato porta».

CS

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